La storia di Roberto Capecci inizia con una rottura. Non con la tradizione, come sarebbe facile immaginare, ma con un ritorno ad essa. Suo nonno, Guido, avviò l’azienda agricola nel 1963 con una produzione in cisterna, non produttore di bottiglie, ed era legato ad un concetto di agricoltura molto antico, dai criteri diversi da quelli odierni. Il padre, Domenico, acquistò l’azienda nel 1975 e litigò con il suo genitore perché voleva confezionare vino in bottiglie. Le Cantine Capecci arrivarono a fare 4.000 di quintali di vino lavorato all’anno, una grande cifra per un’azienda a conduzione famigliare, nel nome del business. Nel 2002 Roberto litiga a sua volta con il padre per cercare di domare una situazione diventata ingestibile. Quest’ultimo voleva incrementare la produzione del 40%, una manovra impossibile per una società di piccole dimensioni. “Per vivere bene bastano 400 quintali di vino.”, era convinto il figlio Roberto. Il tempo gli ha dato ragione.

Vecchi sistemi e agricoltura biodinamica applicata ai vigneti

“Feci tesoro degli insegnamenti dei contadini che lavoravano per mio nonno.”, racconta Roberto, “Vitale De Angelis, uno di questi, diceva che per fare del vino ci vogliono tre ingredienti: pulizia, pulizia, pulizia”. E nient’altro, l’uva ha già tutto. Nel 2006 Capecci lesse il libro di Nicolas Joly “La vigna, il vino e la biodinamica” e ritrovò parecchi concetti dell’agricoltura arcaica nella biodinamica steineriana (Rudolf Steiner, suo fondatore). Quest’ultima ha un approccio olistico, ovvero considera come un unico sistema il suolo e la vita che si sviluppa su di esso. La viticoltura biodinamica si concentra sulla vigna e il suo prodotto vino in modo etico e rispettoso dell’ambiente nell’obiettivo di nutrire l’essere umano sia a livello fisico che spirituale.

Le Cantine Capecci producono uve che escludono l’utilizzo di sostanze chimiche di sintesi sui vigneti come pesticidi ed erbicidi. Promuovono il lavoro manuale sulle viti ed altrettanto manuale è la vendemmia con la selezione delle uve e la raccolta in cassetta per tutelare i grappoli. Nelle fermentazioni utilizzano esclusivamente lieviti indigeni presenti nell’uva ed in cantina. Il vino è lasciato fermentare privo di controllo della temperatura. Non intervengono con azioni meccaniche, di concentrazione, solfitazione e filtrazione dei mosti. Non ricorrono all’uso di proteine di origine animale o vegetale e prodotti di sintesi. Il vino non è né refrigerato né termo-condizionato.

“Quando l’ambiente è interamente sano, la natura opera e si riequilibra da solo”, rivela Roberto. Per quanto riguarda le concimazioni, più che il cornosilice e il cornoletame biodinamici, Capecci impiega gli escrementi delle pecore ogni cinque o sei anni quando la vigna è a riposo. “Non utilizzo preparati se le piante stanno bene”.

Seguendo il naturale corso delle cose, la vigna è produttiva o meno a seconda delle annate: “In base alla salute della vite e del tempo si agisce di conseguenza. Il mio vino non è altro che la foto di un anno di vento, di pioggia, di condizioni atmosferiche in campagna”. Otto ragazzi italiani raccolgono l’uva per imparare anche il mestiere, una scelta mirata di Roberto nell’ottica di “credere nelle persone del territorio e stimolarle nella loro formazione”. Una missione difficile ma non impossibile.

La tipologia dei vini delle Cantine Capecci

“Sono l’unico produttore di vini naturali nelle Marche.”, afferma Roberto. Ma qual è la differenza tra un vino naturale ed uno biologico? Il primo non è alterato (no controllo temperatura, no deterioramento mosto, no chiarifiche con prodotti), il secondo viene sempre totalmente modificato da 20 o 30 additivi (destabilizzanti, proteine residue o aggiunte come albumina o colla di pesce).

“Il problema di oggi è che i vini sono tutti uguali, non hanno una storia da raccontare”. Capecci produce invece dei vini artigianali, totalmente legati al circolo della natura senza forzarlo o dominarlo. Lavorando così la materia prima, l’uomo diventa “tutore” e non “produttore”, con zero interferenze, e la produzione si trasforma in “artistica”. Il risultato finale è un vino sano legato al territorio. La cantina è un laboratorio naturale dove la microfauna si insedia ed agisce sul prodotto vino tramite infezioni.

Il vino è messo in botti piccole barrique di legno ed acciaio, che si cambiano ogni due anni. “Non uso botti grandi per evitare di aumentare la chimica”, spiega. L’impatto chimico dei prodotti è ridotto all’osso. La fermentazione è spontanea e sono seguite le fasi lunari come nell’antichità “perché funzionano”. Non per nulla il simbolo della cantina richiama le fasi di luna calante, piena e crescente in un’accezione quasi mistica. “I nostri metodi non differiscono di molto da quelli seguiti dai monasteri medievali. Ovvio che oggi non abbiamo più il torchio e ricorriamo alla pressa in acciaio, dato che bisogna proteggersi dall’azione dei batteri”.

La particolarità di questi vini risiede nella completa assenza di solfiti artificiali. Sono presenti solo quelli naturali. Difatti durante la fermentazione piccole quantità di solforosa sono prodotte dai lieviti. I vini senza solfiti aggiunti possono avere una solfitazione naturale fino a 10 mg per litro. Se l’anidride solforosa è inferiore a questo valore si può omettere la dicitura in etichetta “contiene solfiti” ma l’azienda sceglie di mantenerla comunque per la presenza dei solfiti naturali.

Panorama delle Cantine Capecci

Vini, prodotti su misura e degustazioni

Nove sono i vini delle Cantine Capecci: quattro fermi senza solfiti aggiunti, due spumanti e tre vini barricati. I primi sono lavorati in acciaio e la sterilizzazione dei vasi vinari è effettuata tramite vapore. Il contenuto dei solfiti naturali dovuti alla fermentazione è intorno ai 10 mg/lt. Non esiste l’aggiunta di qualsiasi tipo di stabilizzante o conservante, proteine di origine animale e vegetale o qualsiasi azione di stabilizzazione sia chimica che meccanica. In loro sono “declassate le denominazioni del vino ” scrivendo in etichetta “vino bianco”,” vino rosso” e “vino rosato” perché sono fatti solo ed esclusivamente fatto da uva. I loro nomi sono: Nudo (rosso), Luce e Luna (bianco), Rosé (rosato), Naturae (rosso e bianco). Gli spumanti hanno le identiche caratteristiche dei vini sopra riportati contitolo alcolometrico volumico totale minimo di 11,50% vol, acidità totale minima di 5,0 g/l ed estratto non riduttore minimo di 16,0 g/l. Si chiamano Petra Cernâ (bianco) e Petra Rosé (rosato). I vini barricati sono affinati in botti barrique di legno rovere e hanno un moderato contenuto di solfiti principalmente perché la sterilizzazione del legno prevede l’utilizzo di questo agente. È aggiunta la dicitura “contiene solfiti” perché il livello supera i 10 mg/lt. Vini “vivi”, idonei ad un lungo invecchiamento che può superare i venti anni per alcune annate. Anche questi non subiscono alcun intervento chimico o meccanico. Presentano la dicitura “Archivio” sulle annate più vecchie. I vini sono: Donna Lina (Offida Pecorino), Accubitù (Cabernet Sauvignon), Rosso del Fondatore (Rosso Piceno Superiore).

“Sto avviando un progetto chiamato ‘Gioia’ che probabilmente costituirà un club di persone per le quali creerò dei vini su misura ed esclusivi, non accessibili sul mercato”, rivela Roberto. Un’idea in incubazione da cinque anni che nel 2017 vede finalmente la luce.

Le Cantine ricevono 400 persone all’anno in degustazioni che sono disponibili unicamente su prenotazione. “Preferisco avviare piacevoli conversazioni sul prodotto con i clienti piuttosto che una sterile vendita”.

Il vino di Roberto è distribuito in 80 ristorazioni, tra le quali Osteria del Gigante, Attico sul Mare, Molo Sud, Cheffish (San Benedetto del Tronto), Frangipane (Grottammare), La Canonica (Pesaro), Ristorante I Caraibi (Alba Adriatica), Marconi (una stella Michelin, a Sasso Marconi in provincia di Bologna), Pisarro (Milano), e altre a Parigi, in Olanda, Slovacchia, Repubblica Ceca.

Roberto Capecci ha un’enorme fiducia nelle capacità di ripresa dell’Italia a livello economico in tutti i settori partendo dal concetto di fare la differenza con prodotti di nicchia di alta qualità come il suo e si augura che anche altri produttori seguano il suo esempio. “Noi italiani dobbiamo ricominciare a innamorarci della nostra terra e della nostra cultura. Abbiamo dei territori profondamente diversificati da un paese all’altro e dobbiamo cercare di valorizzarli credendo nei nostri prodotti e nel nostro estro”.

Donatella Rosetti

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