La plastica è un materiale largamente diffuso nella nostra vita quotidiana. Nello stesso tempo, è il principale rifiuto disperso in mare. Con il tempo si frantuma creando materiali inquinanti: le microplastiche. In questo articolo andremo ad approfondire il tema della plastica per comprendere meglio l’inquinamento da microplastiche ed invertire la rotta.

La plastica

La plastica è un materiale largamente diffuso nella nostra vita quotidiana. Quasi ogni oggetto che possediamo contiene delle plastiche. Questo perchè è resistente, economico, leggero, malleabile, facilmente lavorabile, igienicamente sicuro e duraturo.

E’ costituita da molecole di grandi dimensioni che sono denominate polimeri. I polimeri sono costituiti da atomi di carbonio e di idrogeno, con possibile presenza di ossigeno, azoto o altri elementi quali il cloro, il bromo. La struttura molecolare dei polimeri è filiforme e deriva dall’unione di unità molecolari più semplici, i monomeri. I monomeri più importanti sono: etilene, propilene, butadiene e stirene.

Come nasce la plastica?

La plastica moderna, quella che deriva dal petrolio, ha cambiato il nostro modo di vivere. Negli anni ’20 del secolo scorso cominciarono i primi esperimenti per creare materiali plastici usando il petrolio. Ma da cosa deriva il termine “petrolio“?

Il termine “petrolio” significa letteralmente “olio proveniente dalla terra”. Esso infatti è un liquido oleoso di colore verde-bruno. Si trova, spesso insieme al metano, in giacimenti situati a varie profondità della crosta terrestre. Si è formato in seguito alla decomposizione di organismi animali e vegetali sepolti nella crosta terrestre o sotto il fondale marino.

I giacimenti vengono raggiunti trivellando il terreno.  In seguito, attraverso delle particolari pompe, il petrolio viene estratto e inviato alle raffinerie. Dal petrolio si può ottenere: benzina, bitume, fibre tessili e plastica.

Quali tipi di plastica?

Il processo industriale di trattamento del petrolio viene denominato cracking. Le catene polimeriche ottenute possono essere lineari, ossia indipendenti le une dalle altre, oppure collegate tra loro a formare un reticolo tridimensionale.

Nel primo caso i polimeri si dicono termoplastici e sono caratterizzati dalla proprietà di fondere a una determinata temperatura, riacquistando lo stato solido se riportati a temperatura più bassa del punto di fusione. Nel secondo caso si dicono termoindurenti perché, se sottoposti all’azione del calore, non fondono ma, con il progressivo aumento della temperatura, tendono a decomporsi.

Termoindurenti

Termoplastiche

 

 

 

 

 

Inquinamento da microplastiche:

Rifiuti in mare

Siamo letteralmente invasi dai rifiuti. Mari e oceani non sono è immuni da questo scempio. Studi rilevano che la situazione è ormai degenerata ed è la plastica il principale rifiuto disperso in mare.

Il 15% galleggia, il 15% in colonna d’acqua e il 70% sui fondali. La porzione di rifiuti che galleggia diventa un pericolo non solo per la vita marina ma anche per l’avifauna.

Isole di plastica

Nel Mediterraneo la concentrazione dei rifiuti in mare è pari a quella delle cosiddette “isole galleggianti” dell’Oceano Pacifico.

Chiamata anche “Pacific Trash Vortex” quest’isola di plastica è il più grande accumulo di spazzatura galleggiante al mondo. Composta prevalentemente da plastica, metalli leggeri e residui organici in degradazione, è situata nell‘Oceano Pacifico e si sposta seguendo la corrente oceanica del vortice subtropicale del Nord Pacifico. Le sue dimensioni sono immense: le stime parlano di un minimo di 700.000 km² di estensione fino a più di 10 milioni di km², per un totale di circa 3 milioni di tonnellate di rifiuti accumulati.

Degradazione dei rifiuti

I rifiuti sono una delle principali minacce agli ecosistemi marini e rappresentano un rischio crescente alla biodiversità, l’ambiente, l’economia e la salute. Li chiamiamo rifiuti ‘marini’, ma in gran parte arrivano da terra, da discariche abusive e le pratiche di smaltimento scorrette. Molti li generiamo però noi con le attività ricreative, turistiche e la pesca professionale.

Durante il periodo di permanenza in mare, queste tipologie di rifiuti possono costituire un pericolo per animali. Inoltre rifiuti con lunghi tempi di degradazione si frantumano in mare creando una nuova tipologia di inquinanti: le microplastiche.

Le microplastiche

Le microplastiche sono frammenti di plastica più piccoli di 5 mm, spesso simili al plancton. Quelli più grandi, da 5 a 2 mm, sono anche visibili ad occhio nudo, ma la maggior parte è talmente piccola che non è individuabile.

La loro presenza deriva dalla cattiva gestione dei rifiuti. Queste possono essere catturate  anche da animali marini molto piccoli per scopi alimentari, ma non hanno niente di nutritivo.

Ci sono due tipologie di microplastiche: primarie, prodotte appositamente di queste dimensioni o secondarie, che sono minuscole per la degradazione della plastica da parte del sole, dell’acqua marina e altri agenti esterni.

Da cosa deriva l’inquinamento da microplastiche

Stando alla classifica di una recente ricerca, la prima fonte di microplastica è il lavaggio di fibre sintetiche (35%). Una volta messi in lavatrice, infatti, i vestiti sintetici producono innumerevoli microfibre. Un carico da 5kg può rilasciare tra 6 e 17 milioni di microfibre. Infatti, durante il lavaggio dei capi di abbigliamento prodotti con materiale derivante dalla plastica, soprattutto i tessuti in acrilico e poliestere, si staccano una miriade di piccoli filamenti che diventano vere e proprie microplastiche. Come già evidenziato, essendo di dimensioni inferiori a 5 mm, non vengono trattenuti dagli attuali filtri delle lavatrici e nemmeno da quelle dei depuratori.

Secondariamente, le microplastiche derivano dagli pneumatici (28%). Si sa che quest’ultimi si consumano. Perdono mediamente 1kg da quando iniziamo ad usarli a quando vengono dismessi (circa 2 anni dopo). La parte di gomma che si consuma diventa appunto microplastica. Quando guidiamo e quando freniamo, lo sfregamento sull’asfalto consuma lo pneumatico disperdendo nell’ambiente delle particelle. Inoltre, le microplastiche derivanti dagli pneumatici sembrerebbero più pericolose delle altre perchè prodotte con materiali altamente tossici. Per risolvere questo problema, le principali marche di pneumatici stanno sviluppando dei progetti per produrre con metodologie diverse ed utilizzando materie prima riciclate e di origine naturale, come bambù, melassa, talassaco, amido di mais, scarti agricoli e molte altro ancora.

 

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