Lo scorso 11 Aprile a San Benedetto del Tronto si è tenuto “Greenjob nel Fashion”, un seminario rivoluzionario dal punto di vista dell’eco-sostenibilità giunto ormai alla sua terza edizione. Si è discusso nel concreto di progettazione, produzione e vendita della moda sostenibile. All’interno sono intervenuti docenti universitari di moda, economisti, imprenditori che hanno portato la loro esperienza diretta alla presenza di studenti di scuole tecniche. Il patrocinio dell’evento, oltre a quello del consiglio regionale nella figura dell’assessora Manuela Bora, era della Federmoda CNA, la quale presidente, Doriana Marini, è da oltre 15 anni nel mondo della sostenibilità con la sua impresa Dienpi.

Doriana ha fatto crescere la sua azienda collaborando con molti marchi italiani e stranieri, selezionando rigorosamente le materie prime e valorizzando le persone. È convinta che “per l’industria fashion essere sostenibile da un punto di vista economico deve significare esserlo anche da uno ambientale e sociale”. Da quando ricopre il ruolo di presidente della CNA la sua priorità è stata battersi per l’eco e trovare un modo per coniugare la bellezza della moda con l’etica delle lavorazioni. Nel 2016, con il supporto della CNA, ha siglato l’accordo T-Fashion con Uniofiliere per permettere alle imprese di certificare i propri processi produttivi e rendere l’intera filiera trasparente. Ha fatto parte come CNA di una commissione di lavoro che ha redatto un opuscolo sull’educazione al consumo consapevole che sarà distribuito a tutte le scuole il prossimo anno scolastico dagli artigiani che gli racconteranno della propria esperienza.

Quali sono stati gli argomenti trattati nel seminario e le conclusioni a cui siete arrivati?

Abbiamo parlato dell’acquisto consapevole, della necessità di cambiare registro produttivo, della costruzione di network progettuali e dei lavori eco (green jobs). Le aziende devono adottare sistemi di produzione rispettosi dell’ambiente, della salute dei consumatori, dei diritti e delle condizioni di lavoro dei propri dipendenti. Questo processo integrato di filiera trasparente potrebbe offrire molte possibilità occupazionali. La sostenibilità ambientale sarà effettuata anche attraverso il recupero e il riutilizzo dei materiali da supportare con incentivi economici e con la costituzione di apposite filiere e di start up per il riciclo degli scarti. È fondamentale leggere le etichette dei capi ed individuare la loro tracciabilità. Il compito delle imprese deve essere, infine, quello di intercettare e valorizzare un consumo critico e responsabile. Solo l’unione della ricerca di profitto con la creazione di un valore aggiunto si è al passo con lo spirito del tempo. “Consumare meno e consumare meglio” è lo stile di vita da seguire. 

Che passi deve fare un’azienda per trasformarsi in green?

L’approccio è graduale. È necessario analizzare le criticità ed agire in base alle priorità. Ad esempio, se utilizzo tantissima acqua, dovrò dotarmi di un depuratore a norma, oppure se consumo molta energia, metterò dei pannelli solari. Primo, devono eliminare sostanze chimiche tossiche dalle lavorazioni sostituendole con altre più eco-compatibili ma altrettanto efficaci. Secondo, controllare la supply chain (catena di distribuzione), pure per quanto riguarda le tematiche sociali. Terzo, apportare i dovuti interventi per rendere più sostenibile il prodotto. Quarto, dotarsi di un codice etico, come la certificazione SA 8000 che garantisce il rispetto delle norme sociali per i dipendenti.

Sul fronte produttivo c’è la depurazione e il riciclo delle acque (se possibile) e la produzione di energia da fonti rinnovabili. Per far fronte a questi impegni le aziende devono adeguare i propri modelli organizzativi. La sostenibilità è un tema che coinvolge più funzioni aziendali e non è restringibile ad un unico specifico ufficio. Alcune aziende hanno al proprio interno una figura dedicata di formazione tecnico-scientifica, anche se prevalentemente si tratta di una figura ibrida che si occupa anche di altre funzioni (sicurezza e qualità). Altre devono pescare questi individui specializzati fuori.

Non ci sono dei protocolli che regolamentano questo tipo di imprese?

No, ci sono solo delle adesioni volontarie a dei protocolli, come quello DETOX di Greenpeace. Questo fornisce dei dettami molto rigidi, tra cui l’eliminazione totale di undici sostanze chimiche. È una scelta in primis commerciale e poi etica.

È stato difficile diventarlo per la tua, quale passaggio è stato il più arduo da attraversare?

La mia azienda produce etichette di ogni genere e packaging sostenibile, e all’inizio abbiamo perso tempo consistente nella creazione del campionario. I passaggi più ardui sono stati ricavare il consenso da parte dei fornitori e trovare le materie prime. Diciotto anni fa era arduo reperire i materiali adatti: cotone biologico, pelle senza cromo (serve per fissare colore), carte di riciclo provenienti dal macero di vecchi abiti usati, carta fatta a mano con canapa o semi per piantare il cartellino e far nascere nuova cellulosa. Dato che siamo dei fasonisti, ovvero creiamo prodotti per conto terzi, possiamo stimolare i brand che lavorano con noi a fare una parte della loro produzione green ma la scelta deve essere volontaria.

VAVE scarpe naturali di canapa

L’azienda VAVE realizza scarpe ecologiche usando materiali naturali come la canapa.

Immettersi sulla rotta della sostenibilità è un modo per combattere la crisi in cui versano le aziende italiane?

Sì perché scegliere con coscienza significa far ripartire l’occupazione. Un approccio diverso al mercato è necessario per non morire. Questo nuovo tipo di azienda si apre alla collettività e dialoga con scuole, università, istituzioni, centri di ricerca, con l’obiettivo di condividere i valori della sostenibilità; si impegna a promuovere stili di consumo più responsabile e a diffondere tra le giovani generazioni la cultura del rispetto per la natura e per il lavoro umano. Per un’azienda sostenibile è quindi opportuno rendere noto il proprio comportamento virtuoso sul suo sito e sui social ufficiali senza però trascurare il retail, che non ha più solo la funzione di vendita, ma è un luogo nel quale veicolare e condividere informazioni.

La Green Economy genera lavoro, il  rapporto GreenItaly di Symbola/Unioncamere 2016 ci dice che a questa si devono in Italia oltre 2 milioni 964mila green jobs, ossia occupati che applicano competenze “verdi”. Una cifra che corrisponde al 13,2% dell’occupazione complessiva nazionale ed è destinata a salire. Nel settore “Ricerca e sviluppo” le figure green richieste sono il 66% del totale: segno evidente del legame strettissimo fra green economy, innovazione e competitività.

Nelle Marche ci sono molti produttori restii al cambiamento. Come si può convincerli a passare all’eco?

Il passaggio sarà obbligatorio. Se il mercato locale si converte all’eco, dovranno farlo per forza. Bisogna avere una propria coscienza e non essere miopi. Anche gli anelli della filiera come me hanno il dovere di aprirsi al futuro e pensare con la propria testa. Chi ancora non vuole fare ricerca, significa che possiede ancora un piccolo piatto nel quale mangiare ma non è previdente. Possono comprenderlo soltanto se il piatto si restringe.

Quali sono le imprese artigiane di moda eco-sostenibili nelle Marche?

Ci sono diversi brand marchigiani che hanno adottato sistemi di produzione “green” o che stanno presentando al mercato delle collezioni eco-sostenibili. VAVE Bio di Porto Sant’Elpidio è specializzato in scarpe di canapa. Realizzano scarpe vegan, ecologiche e di tendenza, congiugendo salvaguardia del pianeta e qualità del Made in Italy, per uno sviluppo della moda eco-sostenibile. TEABAG 1928 di Falconara propone borse artigianali, pezzi unici numerati. Ho scoperto di recente la MATREC di Ancona, un osservatorio internazionale per l’innovazione sostenibile di materiali e prodotti al servizio delle imprese della moda e non solo.

Una realtà che conosco da vicino è la RETE ITS Integrated Textile Services, composta da aziende a cavallo tra Marche e Abruzzo. È una filiera integrata di aziende manifatturiere altamente specializzate protagoniste del “Denim Made in Italy” nel mondo. Le imprese che aderiscono alla rete rispettano le leggi sulla protezione ambientale, si adoperano per il risparmio energetico e si impegnano a privilegiare l’uso si materie prime rinnovabili e/o di riciclo. Le aziende della Rete privilegiano le filiere produttive locali ed operano con criteri di equità sociale, non utilizzano lavoro minorile, sommerso né ogni altra forma di sfruttamento della manodopera. Le aziende di questa rete che hanno sottoscritto il decalogo della sostenibilità ambientale e sociale: Mac Tec, Itac Lab, Dienpi, ITV Denim, Wash Italia, Abbigliamento G & G. Infine segnalo l’esperienza coordinata da ClassRe.Verso, una catena integrata che consente l’approvvigionamento di materiali unici di alto valore mediante recupero di sfridi di produzione di marchi e produttori italiani e stranieri del fashion. Un sistema che può determinare risparmi in termini di energia, acqua ed emissioni CO₂. Oltre a tre aziende toscane, partecipa al network anche la Green Line di Recanati.

Borse Teabag

Le borse Teabag vengono realizzate utilizzando esclusivamente scarti di produzione di tappezzerie e di pelletterie.

Nell’articolo di CNA Moda riguardante la conversione green, dici che le aziende in futuro dovranno dotarsi del progettista di prodotti tessili sostenibili e del responsabile della sicurezza chimica. Sono figure già formate da scuole o università?

Queste due professionalità sono venute fuori nell’ambito di una ricerca della LIUC – Università Carlo Cattaneo che istituirà dei corsi di specializzazione a riguardo. Anche l’ITS di Pescara, che ha un biennio sulla moda, inserirà nel prossimo anno le materie inerenti a tali figure nel suo programma di studi. Il progettista di prodotti tessili green è un tecnico che abbina all’anima creativa una buona conoscenza dei materiali e dei processi. Dovrà intendersi di certificazioni, considerare i vincoli legislativi e normativi relativi all’esportazione dei prodotti e progettare in una logica di eco-design senza perdere di vista i requisiti di industrializzazione del prodotto. Una risorsa preziosa in grado di interagire tanto con la produzione quanto con l’area marketing commerciale.

Il responsabile della sicurezza chimica è un tecnico che si misura con la molteplicità delle evidenze documentali e aiuta l’azienda nella definizione di prodotti e processi green coerenti con i protocolli richiesti dal mercato o determinati dall’azienda stessa. Dovrà quindi conoscere i materiali, le sostanze e i composti chimici utilizzati nei processi, le normative e gli standard di sicurezza. Il responsabile della sicurezza chimica sarà coinvolto nella produzione e nella commercializzazione dei prodotti. Contribuirà inoltre al rilevamento e alla riduzione delle emissioni oltre che a occuparsi della sicurezza interna alle aree produttive. Entrambe le figure professionali dovranno tenersi aggiornate per trasferire all’azienda le informazioni necessarie a incrementare il grado di sostenibilità dei prodotti e dei processi e cureranno la propria capacità di comunicazione nel relazionarsi con realtà.

Quali sono i progetti green che Federmoda CNA sta portando avanti per quest’anno?

La Federmoda CNA nazionale porta avanti da anni l’iniziativa “Tramare Ordire Etica del Lavoro” sul lavoro etico. Soprattutto si sta battendo per la trasparenza dei rapporti con la subfornitura così da arrivare a stringere un accordo con i grandi marchi, il consumo consapevole e la sostenibilità.

Donatella Rosetti

 

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