Microplastiche: cosa sono e quanto incidono sull’equilibrio marino

Abbiamo incontrato di nuovo la Biologa Martina Capriotti che ci ha parlato del suo grande progetto sull’inquinamento da microplastiche, condotto assieme all’Università di Camerino, nella sede di San Benedetto del Tronto, in collaborazione col gruppo di ricerca Mosconi-Palermo.

La ricerca è ufficialmente iniziata a giugno e avrà una durata indicativa di circa un anno e mezzo.

Vediamo ora più nel dettaglio in cosa consiste questo progetto di ricerca

Nel mare sono presenti una moltitudine di inquinanti chimici (e questo è risaputo), ciò che però ha destato finora poca considerazione è che molti di essi possono aderire alla superficie delle microplastiche diventando vettori all’interno di qualsiasi animale marino.

Le microplastiche sono frammenti di plastica più piccoli di 5 mm. Quelli più grandi, da 5 a 2 mm, sono anche visibili ad occhio nudo, ma la maggior parte è talmente piccola che non è individuabile. Ci sono due tipologie: primarie, prodotte appositamente di queste dimensioni o secondarie, che sono minuscole per la degradazione della plastica da parte del sole, dell’acqua marina e altri agenti esterni.

Il lavoro di Martina consiste nell’estrarre i contaminanti, isolarli, per poi inserirli fisicamente all’interno di cellule. L’obiettivo è, quindi, analizzare l’impatto che avranno sulle cellule e, di conseguenza, il grado di tossicità.

Ricerca scientifica

Esperimenti su piastre

Questi esperimenti verranno condotti su cellule animali, precisamente su epatociti (cellule di fegato), facenti parte del nostro Mare Adriatico: questo permetterà di verificare cosa si attiva a livello biomolecolare.

Il titolo del progetto è “An innovative approach for testing micro plastic hazardousness in Adriatic Sea”.

Studi simili sono stati condotti nell’Oceano Pacifico ma ciò che differenzia la ricerca di Martina Capriotti è l’analisi dell’incidenza che queste microplastiche possono avere all’interno delle cellule.

 

 

Sky e National Geographic coinvolti nel progetto delle microplastiche

La ricerca sulle microplastiche ha destato forte interesse anche da parte di National Geographic che ha offerto una borsa di studio a Martina per poter intraprendere questo grande progetto.

Oggi il tema ambientale sta suscitando sempre maggiore consapevolezza e, in particolar modo, l’inquinamento dei nostri mari è ormai diventato un problema tangibile.

Il mare è saturo di plastica, gli animali muoiono ogni giorno ed è giunto il momento di porre rimedio.

Sky ha realizzato una campagna di sensibilizzazione inerente all’inquinamento dei rifiuti in mare, intitolata “Sky Ocean Rescue – Un Mare da Salvare“, un video davvero toccante che in pochi secondi racchiude la drammatica situazione in cui ci troviamo.

Annette Fayet, Martina Capriotti, Imogen Napper. Foto: NationalGeographic.co.uk

In qualità di ambasciatrici sono state selezionate Martina e altre due ricercatrici: l’inglese Imogen Napper e la francese Annette Fayet. 

 

 

 

I possibili effetti inquinanti delle microplastiche

Martina ha già alle spalle diverse ricerche. Durante il dottorato, infatti, ha condotto uno studio sul biomonitoraggio del Mare Adriatico centrale, constatando come quest’ultimo sia già di suo particolarmente vulnerabile.

Ha studiato la componente chimica presente nell’acqua marina, ha identificato differenti biomarker molecolari dentro alcuni organismi bioindicatori ed ha osservato come questi potessero essere attivati dai contaminanti.

L’inquinamento causato dalla plastica nei nostri mari è visibile a tutti, ma non tutti sanno che sono proprio le microplastiche quelle più pericolose: esse infatti possono essere ingerite involontariamente da una moltitudine di organismi, assorbendo così più contaminanti tossici (a parità di peso) dei frammenti di plastica più grandi.

La contaminazione, naturalmente, non termina qui.

Tutto ciò va ad impattare la catena alimentare partendo dal nostro mare e arrivando alle nostre tavole.

Gli organismi che tendono ad assorbirne di più sono quelli filtratori, come le cozze, le vongole e le ostriche che si contaminano semplicemente filtrando l’acqua.

Le conseguenze sono gravi: si possono presentare lesioni o ferite all’interno degli organi e dei tessuti in cui si accumulano questi contaminanti.

Dunque, i rischi sono concreti ed elevati per tutti. Motivo per cui è necessario intervenire e avere più rispetto per l’ambiente e per la Terra che ci ospita.